Gazzetta di Parma / di R.C.
Sono ben dieci milioni i chilometri cubi di ghiaccio marino persi negli ultimi quarant’anni, dal 1980 al
2020. E le stime dicono che fra il 2028 e il 2042 si arriverà ad una perdita completa di ghiaccio marino.
E’ un quadro preoccupante quello tracciato da Peter Wadhams, professore emerito di fisica oceanica e capo Polar
Ocean Physics Group Università di Cambridge, ieri sul palco del Festival della Green Economy. Wadhams pone l’attenzione su una sfida più attuale che mai: quella dello scioglimento dei ghiacci e sulla domanda: «E’ ancora possibile salvare il pianeta?». In dialogo con Antonio Maconi, fondatore di Goodnet Territori in Rete, il professore delinea quelli che sono i più grandi problemi che derivano da questa situazione.
Innanzitutto l’aumento del livello del mare che colpirà città e Paesi costieri, come il Bangladesh ma anche Venezia. Poi, un aumento del scaldamento globale e dell’instabilità meteorologica. Altro grande problema è il metano intrappolato sotto i fondali marini. La perdita del ghiaccio marino causa un riscaldamento dell’oceano, con conseguente scioglimento del permafrost, che porta al rilascio del metano dai fondali marini nell’atmosfera. Questo porterebbe ad un aumento della temperatura di 1 o 2 gradi. «Dobbiamo ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera. Questo richiede uno sforzo tecnico ed economico enorme e un accordo da parte di tutte le nazioni».